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CONCORDATO PREVENTIVO

ESDEBIMPRESA, TORNA A LAVORARE SERENAMENTE

Accordo di ristrutturazione dei debiti, ordinario, ad efficacia estesa ed agevolato

L’imprenditore che si trova in uno stato di crisi o di insolvenza, tale da non consentire il risanamento dei debiti contratti, può avviare la ristrutturazione del debito aziendale per risanare l’equilibrio finanziario, mediante la stipulazione di un piano di rientro del debito, volto a ristrutturare le proprie obbligazioni, rideterminando la loro l’entità o dilazionando nel tempo le relative scadenze, ovvero perseguendo congiuntamente entrambi gli effetti; un professionista indipendente deve attestare la fattibilità del piano e la veridicità dei dati aziendali.

Il CCII individua tre tipologie di accordi di ristrutturazioni del debito, ordinario (art. 57), agevolato (art. 60) e ad efficacia estesa (art. 61), prevendo rispettivamente che:

- nell'accordo ordinario deve sussistere il consenso dei creditori che rappresentano almeno il 60% dei crediti;

- nell'accordo agevolato i creditori chiamati a sottoscriverlo devono rappresentare almeno il 30% dei crediti, a condizione che il debitore non proponga la moratoria dei creditori estranei agli accordi, e non abbia richiesto e abbia rinunciato a richiedere misure protettive temporanee, come il blocco delle azioni esecutive;

- in quello ad efficacia estesa gli effetti dell’accordo vengano estesi anche ai creditori non aderenti che appartengano alla medesima categoria, individuata tenuto conto dell’omogeneità di posizione giuridica ed interessi economici, a condizione che:

i) tutti i creditori appartenenti alla categoria siano stati informati sulla situazione del debitore, dell’avvio delle trattative, dell’accordo e dei suoi effetti, e siano stati messi in condizione di parteciparvi in buona fede. Il debitore deve notificare ai creditori nei confronti dei quali chiede di estendere gli effetti, l’accordo, la domanda di omologazione e i documenti allegati;

ii) l’accordo preveda la prosecuzione dell’attività d’impresa in via diretta o indiretta

iii) i crediti dei creditori aderenti appartenenti alla categoria rappresentino il 75% di tutti i creditori appartenenti alla categoria;

iiii) l’accordo soddisfi i creditori non aderenti cui vengono estesi gli effetti dell’accordo, in misura non inferiore a quanto otterrebbero dalla liquidazione giudiziale;

L’accordo deve essere iscritto nel Registro delle imprese e da quel momento produce effetti “protettivi” per il patrimonio dell'imprenditore, il quale deve chiedere al tribunale l’omologazione dell’accordo stesso, che deve essere accompagnato da un piano aziendale e dall’attestazione di attuabilità dello stesso, con particolare riguardo alla sua attitudine a consentire il pagamento dei creditori estranei.
 

Unimpresa lombardia

Piano di ristrutturazione soggetto ad omologazione

Il piano di ristrutturazione sottoposto ad omologazione (di cui agli artt. 64 bis e ss. del CCII) consente all’imprenditore che non dimostri il possesso congiunto dei requisiti di cui all’articolo 2, comma 1, lettera d) (c.d. impresa minore), e che si trovi in stato di crisi o di insolvenza, di operare una ristrutturazione del debito, distribuendo ai creditori il valore generato dalla esecuzione del piano, anche in deroga agli articoli 2740 e 2741 del codice civile e alle disposizioni che regolano la graduazione delle cause legittime di prelazione, vale a dire anche non rispettando i criteri della par condicio creditorum, a condizione che la proposta sia approvata dall’unanimità da tutte le classi, nelle quali i creditori devono essere obbligatoriamente suddivisi, fatti salvi i crediti dei lavoratori, che non possono essere invece sacrificati.

Si tratta di un nuovo istituto giuridico, che richiede l’asseverazione di un professionista indipendente sulla fattibilità del piano e sulla veridicità dei dati aziendali; la sua disciplina non contempla lo spossessamento dell'imprenditore, il quale, dalla presentazione della domanda e fino all'omologazione, conserva la gestione ordinaria e straordinaria dell'impresa, sotto il controllo del commissario giudiziale.

L'opposizione al piano da parte di un creditore non impedisce l'omologare dello stesso da parte del Tribunale, potendo il Giudice considerare ugualmente conveniente la proposta per il creditore, dove la convenienza deve essere valuta in rapporto alla procedura di liquidazione giudiziale, cosicché non potrebbe essere preclusa l'omologazione del piano di risanamento che consenta a quel creditore di essere soddisfatto almeno quanto accadrebbe nel caso di liquidazione dell’azienda sotto il pieno controllo del Tribunale, ad opera di un curatore, nell'abito della liquidazione giudiziale.

Concordato preventivo liquidatorio

Il CCII ammette la possibilità di ricorrere al concordato preventivo puramente liquidatorio, istituto sulla base del quale l'imprenditore che versi alternativamente in condizione di crisi o in stato di insolvenza, per evitare la procedura di liquidazione giudiziale, si propone di soddisfare i creditori mediante la sola liquidazione del proprio patrimonio; si tratta di una proposta di accordo che consiste essenzialmente nella vendita degli assets aziendali e l’utilizzo del ricavato per soddisfare i creditori, secondo una percentuale che viene definita nel piano concordatario, e che soggiace ai limiti minimi imposti dalla legge.

Il concordato preventivo liquidatorio presuppone tuttavia che vi sia anche l’apporto di risorse esterne al debitore, e che tali beni, liquidati unitamente ai beni del debitore, portino alla realizzazione di un ricavato della liquidazione che determini il soddisfacimento dei creditori chirografari superiore di almeno il dieci per cento rispetto al soddisfacimento potenzialmente derivante dalla liquidazione giudiziale (art. 84, co. 4, CCII).

Il piano di concordato deve essere accompagnato da un’attestazione redatta da un professionista indipendente avente ad oggetto la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano; l'apertura del concordato interrompe le eventuali azioni esecutive intraprese dai creditori, consentendo all'impresa di entrare in una sorta di “area protetta”, che preclude l'assoggettamento a pignoramenti o altre azioni aggressive da parte dei creditori, ai quali spetta il diritto di voto sulla proposta formulata dal debitore, il cui esito positivo è condizione per ottenere l'omoloa da parte del competente Tribunale.

Concordato preventivo in continuità

Con il concordato preventivo in continuità il legislatore intende conseguire l’obiettivo della continuità aziendale, al fine di non disperdere i valori aziendali e le opportunità di lavoro disponibili nell’economia nazionale, bilanciando la salvaguardia del residuo valore produttivo dell'impresa in crisi, con la tutela delle ragioni del ceto creditorio.

L’art. 84, co. 2, del CCII, ridefinisce il concetto di concordato con continuità aziendale, da attuarsi con modalità diretta, con prosecuzione dell'attività d'impresa da parte dell'imprenditore che ha presentato la domanda di concordato, o con modalità indiretta, basata invece sul trasferimento dell’azienda a terzi che provvederanno al risanamento dell’azienda, attraverso <<...la gestione dell'azienda in esercizio o la ripresa dell'attività da parte di soggetto diverso dal debitore in forza di cessione, usufrutto, conferimento dell'azienda in una o più società, anche di nuova costituzione, ovvero in forza di affitto, anche stipulato anteriormente, purchè in funzione della presentazione del ricorso, o a qualunque altro titolo>>.

Anche nel CCII il presupposto di ammissibilità del concordato in continuità rimane quello della sua vantaggiosità per il ceto creditorio, laddove il nuovo assetto normativo prevede l'obbligo di individuare per ciascun creditore “un'utilità specificamente individuata”, il che non implica necessariamente che la prosecuzione dell'attività debba essere produttiva di utili, ben potendo consistere anche nella prosecuzione o rinnovazione di rapporti contrattuali con il debitore o con il suo avente causa, attribuendo così rilevanza anche ai benefici indiretti che possono derivare dal mantenimento dell'impresa sul mercato e del suo risanamento.

Come il concordato liquidatorio anche quello con continuità aziendale richiede che il piano sia accompagnato da un’asseverazione redatta da un professionista indipendente avente ad oggetto la veridicità dei dati aziendali e dall’attestazione dell'attitudine dello stesso ad impedire o superare il dissesto dell'impresa, garantendo la sostenibilità economica dell'impresa e assicurando ad ogni creditore un trattamento non deteriore rispetto a quello ritraibile nell’evenienza liquidatoria.

Liquidazione giudiziale

La liquidazione giudiziale è la procedura del CCII che sostituisce il fallimento, avendone gli stessi obiettivi, finalizzati alla liquidazione del patrimonio dell’imprenditore insolvente, e alla ripartizione del ricavato in favore dei creditori sulla base della graduazione dei loro crediti; la scelta legislativa comporta la scomparsa del termine «fallimento», e della relativa aggettivazione «fallimentare», dalla disciplina della gestione giudiziale della crisi, con conseguente eliminazione anche del termine «fallito» per indicare il debitore insolvente, eliminazione che l'art. 349 CCII estende a tutti i testi normativi vigenti, sostituendola con l'espressione «debitore assoggettato a liquidazione giudiziale».

Il Codice assegna a questo istituto il ruolo di extrema ratio rispetto a tutti gli altri strumenti di soluzione della crisi, al quale ricorrere quando i sistemi di allerta e di intervento preventivo approntati dal Codice stesso non abbiano consentito di rilevare con tempestività la crisi e l'insolvenza dell'impresa, rendendo non più realizzabile il ricorso alle altre procedure recuperatorie e di salvataggio aziendale.

La liquidazione giudiziale è sostanzialmente modellata sulla disciplina del fallimento, di cui riprende molte disposizioni, dato che il Codice ha proceduto per lo più a riorganizzare la precedente disciplina al fine di rendere la procedura liquidatoria più rapida e snella.

Liquidazione coatta amministrativa

La liquidazione coatta amministrativa è il procedimento concorsuale con cui l’autorità amministrativa provvede alla liquidazione dell’impresa; ad essa è affidata la direzione della procedura per il perseguimento di interessi anche ulteriori rispetto a quello del soddisfacimento dei creditori.

La legge determina le imprese soggette a liquidazione coatta amministrativa, i casi per i quali la liquidazione coatta amministrativa può essere disposta e l’autorità competente alla sua adozione; il provvedimento che ordina l’apertura della liquidazione produce i suoi effetti dal giorno della sua emanazione.

Essa si applica a quelle categorie di imprese indicate esplicitamente dalle leggi speciali in considerazione della particolarità degli interessi coinvolti.

I soggetti interessati dalla procedura, pertanto, sono i seguenti:

- enti pubblici,

- banche (v. artt. 80 ss. D.lgs 1/9/1993, N. 385, T.U.B), assicurazioni (v. artt. 245 ss. D.lgs. 7/9/2005, N. 209, Codice assicurazioni private), società di gestione del risparmio (v. artt. 57 ss. D.lgs. 24/2/1998, N. 58, T.U.F.),

- società mutualistiche (v. art. 2545-terdecies, 1° co., c.c.),

- imprese sociali (v. art. 14 D.lgs. 3/7/2017, N. 112).

Le varie fasi della liquidazione sono regolate nelle stesse leggi speciali ma una disciplina integrativa è dettata altresì dal CCII, in larga misura ripresa dalla legge fallimentare; diversamente dalla liquidazione giudiziale, i presupposti possono essere molteplici, quali:

- irregolarità di funzionamento (individuate dalle diverse leggi speciali),

- rischio di insolvenza,

- stato di insolvenza.
 

Liquidazione controllata del sovraindebitamento

Le procedure volte al superamento di una situazione di sovraindebitamento sono state introdotte nel nostro ordinamento dalla legge 27 gennaio 2012, n. 3, avendo come destinatari i c.d. soggetti “non fallibili” per dimensione o natura (imprese “sotto soglia” e debitori non imprenditore commerciali).

Le novità contenute nel Codice rispetto a tale impianto originario sono molteplici, e riguardano in primo luogo l'introduzione della nozione di «impresa minore», che individua quelle imprese che presentino congiuntamente i seguenti requisiti: 1) un attivo patrimoniale di ammontare complessivo annuo non superiore a euro 300 mila nei tre esercizi antecedenti la data di deposito dell’istanza di apertura della liquidazione giudiziale o dall’inizio dell’attività, se di durata inferiore; 2) ricavi, in qualunque modo risultino, per un ammontare complessivo annuo non superiore a euro 200 mila nei tre esercizi antecedenti la data di deposito dell’istanza di apertura della liquidazione giudiziale o dall’inizio dell’attività, se di durata inferiore; 3) un ammontare di debiti, anche non scaduti, non superiore a euro 500 mila.

Le «imprese minori» sono escluse dalla liquidazione giudiziale, dal concordato preventivo e dagli accordi di ristrutturazione del debiti, e possono invece accedere alle procedure minori del sovraindebitamento, come il concordato minore e liquidazione controllata.

Le altre novità del Codice, infatti, riguardano proprio la trasformazione dell’accordo di composizione della crisi da sovraindebitamento in concordato minore (artt. 74 e ss., CCII), e la trasformazione della procedura di liquidazione del patrimonio dei soggetti sovraindebitati, in liquidazione controllata (artt. 268 e ss., CCII).

In particolare, la liquidazione controllata è la procedura liquidatoria destinata ai soggetti sovraindebitati, vale a dire a quei soggetti in stato di crisi o di insolvenza che, per la mancanza della qualità di imprenditori, o per la loro qualità di «impresa minore», non sono assoggettati alle procedure “maggiori” del concordato preventivo o della liquidazione giudiziale; la liquidazione controllata può essere aperta non più soltanto ad istanza dello stesso debitore, ma, così come quella “maggiore”, anche per iniziativa di uno o più creditori, e, come accade nell'altra procedura, essa determina lo spossessamento dell’intero patrimonio del debitore, che viene amministrato dal liquidatore nominato dal tribunale.
 

 

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